Alexander Langer, un portatore di speranze

Più lento, più profondo, più dolce.

Nel deserto della politica italiana è difficile, oggi, trovare uomini dei quali avere fiducia, il sistema della democrazia rappresentativa mostra, evidenti punti di cedimento. Tuttavia tra i politici italiani ci sono state figure appassionate ed eticamente integre che hanno provato a tradurre le proprie idee in azioni concrete.

Mi piace qui ricordare la figura di Alexander Langer, dopo la sua prematura morte, molti si sono dimenticati di lui e purtroppo le giovani generazioni non hanno conosciuto a sufficienza il suo pensiero e i suoi scritti.

Alex negli anni ’80 è stato uno dei promotori del movimento politico dei Verdi in Italia e nel dicembre 1984 aprì a Firenze i lavori della prima assemblea nazionale delle liste verdi.

In quegli anni mi avvicinavo a questo nuovo soggetto politico, mi convinceva la proposta di trasformare l’economia e la società stringendo un patto tra sostenibilità ambientale ed equità sociale. La prospettiva ecologista apriva orizzonti più ampi e stimolanti rispetto alla politica tradizionale ferma alla contrapposizione capitalismo/comunismo. La critica ecologista al neoliberismo è profonda, le risorse del pianeta non sono illimitate è quindi necessario trovare un’alternativa ad una crescita economica fondata solo sul profitto e sulla produzione di merci.

Un’intuizione di Alex Langer fu capire che per realizzare una civiltà ecologicamente sostenibile non servono leggi e controlli, ma occorre rendere desiderabile a tutti il cambiamento. Il motto olimpico ”cintius, altius fortius” (più veloce, più alto, più forte) sintetizza lo spirito della nostra era basata su agonismo e competizione, a questo Alex contrapponeva il contrario “lentius, profundis, suavis” (più lento, più profondo, più dolce), come proposta di un nuovo benessere fondato sull’essere e non sull’avere.

Langer propose il superamento delle vecchie ideologie di destra e sinistra, fu protagonista di un intenso dialogo “di ricerca con la cultura della sinistra, dell’area radicale, dell’impegno cristiano e religioso, come pure di aree non conformiste ed originali che emergono anche tra conservatori e a destra, o da movimenti non compresi nell’arco canonico della politica”.

Sempre presente nel suo pensiero fu il tema, oggi lacerante, della convivenza pluriculturale. Considerava la convivenza non come omologazione, al contrario come riconoscimento e  mantenimento delle singole identità culturali, concepite come un insieme di valori e pratiche di mutua tolleranza, conoscenza e frequentazione.

Nessuno può sapere le ragioni che l’hanno portato al suicidio il 3 luglio 1995, personalmente non credo ad un atto di rinuncia, piuttosto il carico di amore e di altruismo che aveva messo per trovare risposte politiche concrete era diventato per lui insopportabile.

Nel parole che scrisse in ricordo di Petra Kelly, leader dei verdi tedeschi, anch’essa tragicamente scomparsa in quegli anni, qualcuno ha letto le ragioni del suo gesto: “forse è troppo arduo essere individualmente degli “Hoff- nungsträger”, dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere”.

Per saperne di più:

Fondazione Alexander Langer

Biografia

 

Sdraiato sotto le sculture di Moore

La retrospettiva di Henry Moore al Forte Belvedere nell’estate del 1972 fu la più bella e appassionante mostra del novecento realizzata a Firenze, molti la ritengono la più spettacolare tra tutte quelle dedicate all’artista. Le grandi sculture erano esposte sulle terrazze erbose del forte che dominano la città.

Ho avuto la fortuna di vivere quell’evento forse senza la consapevolezza piena della sua importanza. Nel ‘72 ero molto giovane, ma senza dubbio ha influenzato il mio rapporto con l’arte, di lì a breve sarebbe diventata oggetto di studi e stimolo per i miei tentativi creativi.

L’ingresso della mostra era libero, cosa che oggi è sempre più rara per le logiche di profitto che pervadono ogni aspetto della nostra vita, disporre di spazi pubblici e dell’arte era più facile e normale. Sugli spalti del Forte Belvedere i giovani e i visitatori potevano con liberamente girare attorno alle sculture di Moore, toccarle, sedersi accanto, viverele.

“Le forme archetipe della mitologia di Moore”, scriveva Giulio Carlo Argan, “sono l’osso che il tempo ha pulito, il sasso che la corrente ha trapanato e levigato. La materia ha una sua storia, ed è questa che la plasma, la costituisce in forma”.

Quale palcoscenico migliore poteva far loro da sfondo se non la veduta su Firenze e le colline circostanti; dai vuoti di quelle forme ci si poteva affacciare, come da finestre, sulle chiese, sui palazzi e sui ponti della città rendendo tangibile la sensazione del tempo e della storia. Lo stesso Moore percepiva la sfida tra le sue opere e la città, nella lettera di ringraziamento, pubblicata nel catalogo della mostra, Moore scriveva:

“l’opportunità che mi si offre di tenere una mostra al Forte Belvedere non può non incontrare il mio grato consenso, sia pure con qualche apprensione. Non vi è infatti luogo nel mondo ove esporre sculture all’aperto, in rapporto a un’architettura e a una città, migliore del Forte Belvedere, coi suoi dintorni imponenti e le meravigliose vedute verso Firenze. Tuttavia la sua possente grandezza e l’architettura monumentale ne fanno un rivale temibile per ogni scultura; mi rendo conto pertanto che esporre qui le mie opere rappresenta una formidabile sfida, ma una sfida che bisogna accettare”.

Per me fu un modo inconsueto di vivere l’arte, sono andato là più volte, sdraiato sui prati in compagnia degli amici a discutere e a scherzare. Preferivo i bastioni a Sud, verso la chiesa di San Miniato, più calmi e meditativi rispetto all’affaccio mozzafiato sulla città. Il rapporto con le sculture era diretto, senza i limiti che impone il tempo di una visita. Moore preferiva la collocazione delle sculture all’aperto, diceva:

“a loro sono necessarie la luce del giorno, il sole. La natura ne è lo sfondo migliore”.

Fu il sole di quell’estate e i violenti temporali di quei giorni che le fecero da coreografia. Solo dopo molti anni le emozioni dell’intima prossimità con la scultura di Moore mi sono tornate in superficie. Oggi mi metto sulle tracce di quei momenti, diventati per me mitici, cerco frammenti di quell’incanto nelle librerie, nelle biblioteche, nel web per strappare al tempo le immagini e le testimonianze che restano, per restituirle a quanto rimane della nostra contemporanea sensibilità.

Alcuni link che presentano immagini della mostra:
56 foto di Renato Grisa
9 foto di Paolo Flores
7 foto di Adalberto Tiburzi
5 foto di Franco

Per saperne di più:p
The Henry Moore Foundation

Francesca Woodman: impressioni dalla retrospettiva fotografica di Siena

Francesca Woodman racconta attraverso il suo corpo, ma non è il protagonista. Questo corpo giovane, morbido, liscio, sensuale; si dimentica senza nostalgie, diventa forma, materia, movimento in uno spazio interiore disabitato.
Un corpo di donna mitologico, puro che nasce come una venere, ma qui non emerge nel cavo di una conchiglia, non nasce dalla spuma del mare, nasce da carta da parati lacerata come un’entità astratta, senza volto, tuttavia imprescindibilmente unico.
Le stanze inondate di sole a volte illuminano completamente gli oggetti, altre volte aggettano ombre inquietanti. Conosco bene questo sole che mi ha scaldato proprio in quei giorni, all’età di Francesca o poco più, una luminosità unica, irripetibile, solo di quel tempo. Quali paure abitavano le stanze di Francesca confinate da pareti graffiate e scrostate? Quali ricerche immateriali si consumavano dentro quei contenitori privi di orizzonte? Il corpo di Francesca perde il proprio peso, la propria densità per acquisire un aggressività materica autoriflessiva. Il suo corpo, il suo sesso sono al tempo stesso soggetto e oggetto dell’immagine, talvolta tormentati come dannati in una teca di museo, a volte conquistati dal sonno o dalla morte abbandonati sul pavimento, dentro una vasca da bagno, sopra una roccia nuda.

A soli tredici anni, all’inizio della sua breve vita, indica l’uscita da una porta socchiusa mentre una forza invincibile la trattiene. Luoghi dell’infanzia da poco abbandonati e nuovamente esplorati oppure coscienza di un futuro doloroso dal quale non riesce ad affrancarsi. Nel riflesso di uno specchio non è possibile trovare le risposte, tutto rimane confuso. Dentro simboli vegetali e animali può essere solo reso possibile un transfert automatico, ma ancora tutto non risolto.

Non è possibile descrivere il racconto di Francesca, parla direttamente ad ognuno di noi, ognuno di noi decodifica a proprio modo il suo messaggio, senza intermediari, senza l’aiuto di critici o biografie postume che Francesca non ha avuto il tempo di avere.

 

Francesca Woodman nata a Denver il 3 aprile 1958 morta suicida a New York il 19 gennaio 1981.

Approfondimenti su:
en.wikipedia (inglese)
it.wikipedia
Francesca Woodman gallery
– L’eredità di Francesca – Intervista ai genitori Betty e George Woodman (audio Mp3)
– Audioguida della mostra di Siena parte 1° e 2° (audio Mp3)
– Rossella Caruso – Camere con vista interna – lettura critica delle opere di Francesca Woodman (audio Mp3)

Francesca Woodman – Um Coração Selvagem from J.M.ARRUDA FILMES on Vimeo.

Francesca Woodman – Selected Video Works (1975-1978) from speenich on Vimeo.

Mostra retrospettiva di Francesca Woodman
Siena, dal 26 settembre 2009 al 10 gennaio 2010
composta da 114 fotografie, alcune delle quali inedite.
Presentata da: SMS contemporanea, il centro di arte contemporanea del Santa Maria della Scala di Siena, in collaborazione con l’Espacio AV di Murcia e l’Estate di Francesca Woodman di New York.
 

A bordo di ecodada

A bordo di ecodada con Costantinos Kavafis

Donna e marina – Jose Royo 1941
Donna e marina – Jose Royo 1941

A bordo di ecodada con la poesia di Costantinos Kavafis, versi che mi ha fatto conoscere tanti anni fa Anna, un’amica greca.

L’immagine che evoca mi sembra perfetta per il varo di questo blog, naturalmente io sarò a bordo di questa nave per un viaggio fatto di racconti, ricordi, sensazioni.

Due aspetti della vita che mi appassionano sono l’arte e la natura, su queste pagine racconterò il mio punto di vista, senza seguire coerentemente questi due temi, anche se saranno sicuramente molto presenti
E allora cosa c’è meglio di una matita per abbozzare uno schizzo della realtà in un incantevole meriggio, immersi nella brezza profumata del mare. Cercherò di fermare immagini e pensieri che l’incessante scorrere del tempo scolorisce e tirarli su dalla memoria con la scrittura perché seguitino ad esistere ed emozionare.

Buon viaggio…

A bordo – Costantinos Kavafis

Certo che le somiglia
questo semplice schizzo a matita.

Buttato giù alla brava, sul ponte;
un incantevole meriggio
che ci stava intorno il mar Ionio.

Le somiglia. La ricordo, però, forse più bella.
Di una sensitività così eccessiva
Che il viso le s’illumina tutto.
Pare più bella, ora che l’anima
me la tira su, dal Tempo.

Dal Tempo. Sono cose troppo vecchie –
Lo schizzo la nave il meriggio.

Του Πλοίου – Καβάφης

 

Τον μοιάζει βέβαια η μικρή αυτή,
ε το μολύβι απεικόνισίς του.

Γρήγορα καμωμένη, στο κατάστρωμα του πλοίου
ένα μαγευτικό απόγευμα.
Το Ιόνιον Πέλαγος ολόγυρά μας.

Τον μοιάζει. Όμως τον θυμούμαι σαν πιο έμορφο.
Μέχρι παθήσεως ήταν αισθητικός,
κι αυτό εφώτιζε την έκφρασί του.
Πιο έμορφος με φανερώνεται
τώρα που η ψυχή μου τον ανακαλεί, απ’ τον Καιρό.

Απ’ τον Καιρό. Είν’ όλ’ αυτά τα πράγματα πολύ παληά –
το σκίτσο, και το πλοίο, και το απόγευμα.